accompagno le persone attraverso il lutto perinatale e il lutto

Io non sono una mamma speciale

Io non sono una mamma speciale e le mie figlie non sono volate da nessuna parte: sono morte.

Non so dove vada chi muore, lo scoprirò a tempo debito. Nessuno sa dove si vada una volta morti, tant’è ci è insegnato di immaginare che si vada in cielo e, alzando gli occhi al cielo, noi vediamo le stelle, solo di notte però. A volte le stelle ‘cadono’: si tratta di frammenti di asteroide o altro corpo celeste che, entrando nell’atmosfera, si incendiano a causa dell’attrito.

Chi non le chiama stelle cadenti, le chiama meteore. Sono un’attrazione tipica dell’estate: ad ogni meteora avvistata abbiamo l’abitudine di esprimere un desiderio, ma guai a rivelarlo! Altrimenti non si avvera. Quindi occhi puntati in alto, per ammirare lo straordinario passaggio di qualche decimo di secondo.

Le mie figlie non sono meteore perché non sono cadute prendendo fuoco… quando le penso, non le penso nemmeno in cielo. Quando le penso, in realtà le penso in un luogo senza tempo, spazio e nome: non sento il bisogno di spiegare tutto, mi tengo la magia dell’ignoto, per quando verrà per me il tempo di esplorarlo.

La loro vita non è durata poco, piuttosto è durata abbastanza da rendermi la loro madre e, loro, essere le mie figlie.

Io non sono una mamma speciale, perché a me non è accaduto nulla di straordinario: le mie figlie sono morte e ciò accade a moltissime persone.

Il mio dolore non è più grande del dolore più grande di qualcun altro: non esiste una scala graduata del dolore, ognuno ha il proprio e il maggiore fra i propri è il più grande.

Sopravvivere ad un figlio non è innaturale: in natura capita continuamente. Capita anche che ci insegnino che ciò sia innaturale, così per noi lo è e diventa inconcepibile. Decretare qualcosa come inconcepibile mette un limite invalicabile al pensiero: non esiste pensiero per qualcosa che è deciso non possa essere immaginato. Ecco come un evento naturale (cioè che fa parte della varietà con cui l’esperienza umana e non solo, può declinarsi) si trasforma in una zavorra che terrà schiacciati per SEMPRE.

A noi (esseri umani, nati in questa parte di mondo, in questa epoca precisa) piace davvero tanto imporci dei limiti, ecco perché usiamo spesso avverbi come SEMPRE e MAI.

Ci è indotto il bisogno di credere fortemente di avere il controllo sulle cose, su di noi, sugli altri. Così decidiamo che le cose, noi e gli altri siano per SEMPRE o MAI in un modo o in un altro.

Eppure noi cambiamo continuamente, a partire dalle nostre cellule che muoiono e si rigenerano periodicamente. Noi non siamo gli stessi di una settimana fa, però abbiamo bisogno di credere di esserlo: peccato. Chissà fin dove arriveremmo se ci concedessimo la libertà di osare oltre quel controllo che fingiamo di avere.

Io non sono una mamma speciale: sono una donna che ha desiderato diventare madre e lo è diventata. Dentro la maternità non ci sono solo fiocchi colorati e panni profumati, dentro la maternità c’è anche la morte. Il dramma è che non si dica. Non che la morte esista.

Io non sono una mamma speciale: sono un essere umano, limitato, fallibile, per nulla perfetto. Non possiedo il potere di far vivere i miei figli, ma possiedo la capacità di fare i conti con la loro morte e non lasciarmi fagocitare da essa. Le mie figlie sono morte, non sono ‘la morte’. Di loro non mi resta solo la loro morte, ma conservo tutta quanta la loro vita, dal principio fino alla fine: ogni istante è un istante che hanno condiviso con me.

Io non sono una mamma speciale: sono una mamma che si è trovata fra altre mamme che non capivano, perché è difficile capire ciò che non si è sperimentato, e, anche quando lo si è sperimentato, può essere difficile comprenderlo ugualmente! Perché siamo tutti diversi e c’è chi desidera proprio sentirsi speciale, mentre io proprio no. Ho l’impressione che questa specialità restituisca un po’ di ciò che sembra essere stato tolto. Penso che nessuno abbia tolto niente a nessuno, ma ognuno abbia fatto esperienza del proprio percorso. Sì: anche chi muore fa esperienza del suo percorso. Chi sono io per dire che avrebbe dovuto vivere più a lungo? E se per lui quel tanto fosse stato sufficiente?

Io non sono una mamma speciale: sono un’anima, una coscienza, uno spirito (chiamalo come preferisci) incarnato, in questo corpo, in questo tempo, in questo pezzo di mondo. Qui sto facendo esperienza di moltissime cose e non c’è come la prossimità con la morte ad aprirmi lo sguardo verso i miei limiti e il loro superamento. Qui non si tratta di scegliere fra cose che non posso controllare, si tratta piuttosto di fare del mio meglio restando in equilibrio anche in ciò che non posso controllare.

Io non sono una mamma speciale: sono una persona, una donna, una mamma aperta alla vita, perché al momento ho la percezione di una sola vita in mio possesso, senza conoscere la data di scadenza, e non voglio perdermene nemmeno un briciolo! Della vita amo le esperienze, che mi donano emozioni. Tutte le emozioni, ché non esistono emozioni positive o negative: non metto limite al mio sentire. Ogni emozione accresce la possibilità di conoscermi, conoscere gli altri e il mondo… più accresco il mio sapere e più ne percepisco la potenziale illimitatezza. Una magia.

Io non sono una mamma speciale: due delle mie figlie sono morte durante la gravidanza e, dopo una profonda riconsiderazione di me, degli altri, del mondo e dell’esistenza nel mondo, provo una profonda gratitudine per aver avuto l’occasione di essere la mamma di tutti i figli che ho pensato. Sono arrivati tutti, e non è scontato.

Il lutto perinatale non è solo dolore. Non c’è un solo modo di raccontare questo mondo. Osa. Oltre il SEMPRE e il MAI.

Pubblicato per la prima volta il 21 luglio 2022

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