Come si supera la morte di un figlio?
Faccio parte di alcuni gruppi dedicati alle persone in lutto su Facebook. Capita abbastanza frequentemente che emerga la domanda: come si fa a ‘superare’ la morte di un figlio?
È nel linguaggio comune dire che la morte debba essere superata, un po’ come fosse un ostacolo, un muro, un impedimento. Le si assegna già un valore essenzialmente negativo.
So cosa stai pensando: “Vorrai mica sostenere che la morte sia positiva!”
In effetti non è questo che intendo: anche questa considerazione fa parte del modo comune di pensare alle cose, cioè dividendole in buone o cattive, giuste o sbagliate, ecc.
Siamo abituati a ragionare per opposti, tuttavia non è l’unico modo di approcciare alle cose…
Per esempio potremmo evitare di giudicarle. Quindi prenderle per ciò che sono: eventi o pezzi della propria esperienza umana.
Quindi la morte non si supera perché non è un ostacolo. La morte si esperisce, cioè si vive, si attraversa, si sperimenta, sia la nostra che l’altrui.
Allora la domanda può diventare: come si sta nella morte?
Senti come cambia la prospettiva? Puoi essere libera/o di scegliere qualunque atteggiamento.
Sei libera/o di far emergere come ti senti e come cambia il tuo sentire nel tempo (perché se non ti inchiodi nelle definizioni del linguaggio comune, hai lo spazio di modificare il tuo pensiero man mano che il tuo sentire muta; e il tuo sentire muta man mano che il tuo pensiero si modifica).
Stare nella morte non è facile e i più la considerano una ‘brutta cosa’. Ma non è una brutta cosa, si tratta di una cosa umana, necessaria e inevitabile.
Le parole che scegliamo di usare ci possono limitare (facilmente lo fanno), mostrandoci della morte un solo aspetto, perlopiù insormontabile.
Come si supera la morte di un figlio?
Pubblicato per la prima volta il 24 luglio 2024