Quando non è arcobaleno
Le chiamano ‘Arcobaleno’, le gravidanze successive ai lutti perinatali. Ormai le definiscono così persino alcune ostetriche.
Mentre alcuni (noi di Luttoperinatale.life) cercano di sensibilizzare sulle insidie delle gravidanze successive ai lutti perinatali, sul pericolo di incitare a cercare un altro figlio per colmare il vuoto lasciato da quello perduto, sulla necessità di ricavare uno spazio specifico per ogni figlio, presente o assente che sia, si preferisce sintetizzare la complessità di queste esperienze con un’etichetta che distorce ed edulcora la realtà.
Questi cosiddetti ‘arcobaleni’ non sempre ‘risolvono’ il dramma della morte del figlio precedente. Noi non possiamo sapere cosa accadrà nella nostra vita. Il fatto di aver già patito un lutto non evita che una situazione analoga possa ripresentarsi.
Immagina cosa deve provare un genitore che si appresta ad abbracciare un arcobaleno e si ritrova nuovamente di fronte alla morte. Cosa può pensare di sé, della sua vita, delle sue scelte, di ciò che sembra meritare (perché il nostro modo di accogliere le cose che non dipendono da noi passa attraverso il merito, la bontà, il volere di un’entità superiore, ecc.)?
A questo punto cosa gli diresti? «Ehm, dai non era ancora un vero e proprio arcobaleno, piove e piove, ma vedrai che poi il sole uscirà. Tieniti pronta/o!»
Senza contare che assegnando valore di arcobaleno al figlio vivo, al figlio morto tocca essere la tempesta. Lui il dolore, il fratello la gioia.
Ecco che hai contribuito a direzionare l’identificazione di questi figli in bello e brutto, buono e cattivo. Il figlio morto è anch’esso stato fonte di gioia, finché non è morto. In realtà lui non ha portato sofferenza, è stata la sua morte a rompere con la felicità.
Questo figlio non è la sua morte!
Un conto è parlare del figlio, un altro è esplorare l’impatto che la sua morte ha sulla storia della sua famiglia.
Compiere questa differenza è essenziale se l’obiettivo è accompagnare la famiglia nel ritrovare il proprio equilibrio, integrando questo pezzo d’esperienza cogliendone anche le tante parti ‘buone’, offuscate dal pulsare del dolore causato dall’assenza.
Concentrarsi sull’arcobaleno per sollevarsi dall’assenza, distrarsi dalla sofferenza, evitare di trovare un senso a quanto già accaduto, può alleggerire lì per lì, ma nel tempo può portare altri problemi.
Ognuno di noi si rifà tendenzialmente alla propria esperienza personale: ci sarà chi ha trovato effettivamente sollievo nell’arcobaleno, si racconta la sua storia di pioggia e sole, trovando così il suo senso. Il fatto che per alcuni funzioni, non significa che possa essere spalmato su tutti.
Anche quando un figlio nasce vivo e sano dopo un lutto perinatale, non è detto che la sua famiglia sperimenti quella felicità totalizzante che l’arcobaleno aveva promesso. Ogni bambino che arriva (vivo o morto che sia) modifica l’assetto della famiglia che deve ritrovare il proprio equilibrio, talvolta scoprendosi a dover gestire emozioni insidiose e differenze evidenti fino a quel momento non ancora sperimentate: essere genitori di figli vivi e figli morti significa trovare modi molto diversi di relazionarsi con loro. Non sempre ciò avviene in modo ‘naturale’, talvolta c’è bisogno di riprendere alcuni passaggi, spostarsi da alcune consuetudini, rivedere certi significati.
L’arcobaleno, raccontato come una promessa di sereno scontata e dovuta, dopo una tale tempesta, è fuorviante, figlia della superficialità con cui usiamo sintetizzare la complessità della vita.
Può essere tollerata nei titoloni di quei giornali che vogliono collezionare click facili, ma in bocca a professionisti non si può sentire.
Ecco, l’ho detto.
Quando non è arcobaleno
Pubblicato per la prima volta il 12 agosto 2024