accompagno le persone attraverso il lutto perinatale e il lutto

Tra Zero e Uno

Tra Zero e Uno

La nostra specie comunica attraverso le parole.

Le parole suonano nella mia mente quando mi figuro i pensieri.

Le parole danno forma alla mia esistenza.

…insiemi di lettere – sostanzialmente un codice – con cui costruisco l’aspetto della mia realtà.

Lo stesso insieme di lettere assume un significato diverso cambiando l’intonazione della voce.

ÀNCORA è un sostantivo che mi tiene in un posto, ANCÒRA è un avverbio che ne vuole di più.

Se ho SONNO chiudo gli occhi, quando SONO forse è il momento in cui esisto.

Simboli e suoni al mio servizio come se fossi scultrice e cantrice della mia storia, a seconda dell’umore, del desiderio di farla divenire, dell’urgenza di riconoscermi in essa.

Le parole sanno ferire e guarire.

Laceranti e cicatrizzanti, non tanto per ciò che raccontano, quanto per il significato che frugo in esse.

Allora ‘Sono la madre di un figlio morto’ è una lama conficcata nel cuore quando mi soffermo sull’eco dell’assenza di quel ‘morto’, ma è l’inizio della mia nuova identità, se vado cercandomi dentro quell’assenza.

Chiamare le cose col loro nome è sentire aderire il suono delle parole alla mia pelle e far combaciare la forma delle lettere con le mie ossa… ritrovarmi esattamente, per poi sentirmi scivolare e fluire ancora via, come fa il tempo su di me. Lui scorre mentre cambio. Fermo nel dolore, rapido nella gioia, mentre divengo altro e ancora – sempre – in cerca di altre parole che mi sappiano raccontare, ferire, guarire, consolare, trattenere, scappare via, trasformare. In ciò che sono. Nuova. Ogni giorno, fino a quando?

Cerco parole che mi restituiscano dignità, rispetto, giustizia. Quella giustizia che non esiste, come non esistono gli assoluti, come non esisto io, immutabile e solida, piuttosto fluida e volubile.

Proprio cercando parole che diano struttura a me stessa, mi accorgo di quanto sia malleabile.

Le parole ferme su un foglio fissano un momento per sempre, sebbene io sappia di non poter esistere tanto a lungo. Loro potranno sopravvivermi, io no.

E mentre mi cerco nelle finite combinazioni di un vocabolario, mi accorgo che mai potrò trovare alcune cose.

Come ricostruire un abbraccio con le parole?

Non un abbraccio qualsiasi. Un abbraccio d’amore.

Prova!

Non fidarti di me, prova!

Queste parole che danno forma alla nostra figura, alla nostra storia, ai mille sentimenti di una vita, devono essere cercate.

Solo quando le cerchi davvero, sforzandoti di aderire loro; solo dopo che ti hanno martoriato, quasi ucciso e poi guarito, persino salvato, puoi SAPERE – proprio a partire dal naso in cui entra l’odore della vita e delle cose della vita – che non basteranno mai.

Lì coglierai l’importanza d’averci provato e la grandezza del silenzio.

Le parole compongono un linguaggio inventato dagli umani per definire l’indefinibile, a partire da come ci pensiamo.

Noi ci pensiamo come degli Uno.

Finiti. Perché moriamo.

Eppure noi siamo molto di più… Noi siamo lo spazio tra lo Zero e l’Uno.

In questo spicchio di realtà ci concentriamo solo sull’Uno e ci perdiamo ciò che c’è tra la partenza e l’arrivo.

Pensaci: tra Zero e Uno c’è l’infinito…

Nel provare a raccontarlo so che non potrò mai giungere a tanto e nello stesso tempo mi chiedo se lo scopo – in fondo – non fosse questo: scoprirmi infinita fra una moltitudine di Uno.

Non resta che proseguire ad esplorare: vivere.

Essere.

Esistere.

Oltre.

Fin dove le parole non esistono.

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