Quando gli altri non capiscono – Laboratorio esperienziale
La solitudine
Una delle ferite più profonde, dopo una perdita perinatale, è la solitudine relazionale.
Il dolore è già tanto, ma spesso si raddoppia quando le persone intorno a noi non sanno come starci accanto:
🔹 chi minimizza
🔹 chi cambia discorso
🔹 chi si allontana in silenzio
🔹 chi ci dice frasi sbagliate, pur volendo consolare
🔹 chi resta, ma non sa come ascoltare
Spesso queste reazioni ci fanno dubitare della legittimità del nostro dolore, o addirittura del nostro valore. Ma non è il nostro sentire a essere “sbagliato”: è che viviamo in una cultura che ha paura del dolore e che, non sapendo affrontarlo, lo evita.
Questo laboratorio nasce per dare spazio a tutto questo. Per dare voce a quel dolore che gli altri non hanno saputo accogliere.
È uno spazio per elaborare, scrivere, condividere, ma anche per trovare nuove modalità per esprimere il proprio dolore in modo più chiaro, più consapevole, più protetto.
Obiettivi del laboratorio
Comprendere le dinamiche culturali che portano a minimizzare il dolore.
Riconoscere e validare la propria sofferenza, senza giudizio.
Lavorare insieme, in cerchio, per ascoltare e raccontare le proprie emozioni.
Sviluppare modi più efficaci per esprimere il proprio dolore agli altri.
A chi è rivolto
A chi ha vissuto una perdita perinatale e sente il bisogno di essere accolto, ascoltato e di trovare un modo per farsi comprendere meglio da chi sta attorno.
Come lavoreremo
Attraverso momenti di condivisione libera, scrittura espressiva, esercizi di empatia e comunicazione.
Non è richiesta alcuna competenza particolare, solo la voglia di esserci, con il proprio sentire.
Quando: 27 maggio ore 20-22
Durata: 2 ore
Dove: online, in uno spazio riservato e sicuro
Contributo di partecipazione: 30 euro
Per partecipare scrivi a: erikazerbini.it@gmail.com
“Se non possiamo cancellare il dolore, possiamo almeno non viverlo in solitudine.”
Noi e gli altri
Nel lutto perinatale è facile sentirsi feriti dagli altri.
Da chi cambia discorso.
Da chi minimizza.
Da chi si allontana.
Da chi, anche volendo aiutare, sbaglia tutto.
E a volte la rabbia prende il sopravvento, perché quel dolore è enorme e ci sembra intollerabile doverlo anche spiegare.
Ma c’è una verità scomoda, e insieme liberatoria: anche noi, prima di vivere questa esperienza, non sapevamo come stare accanto a chi soffriva così.
E anche ora, su altri temi, spesso restiamo incapaci, goffi, impreparati.
Tutti siamo, a volte, inadeguati.
Eppure continuiamo ad aspettarci che l’altro ci capisca.
Pretendiamo che senta ciò che non ha mai provato.
Ci chiudiamo, ci arrabbiamo, alziamo muri.
Smettiamo di spiegare, e iniziamo a pretendere.
Ma nessuno può immaginare davvero ciò che non conosce.
E questo non è un difetto, è una condizione umana.
Possiamo invece cambiare prospettiva: non più restare soli nel nostro dolore, ma provare a costruire un ponte.
Possiamo imparare a chiedere, raccontare, spiegare come stare accanto, con parole nuove, più chiare, più efficaci.
Possiamo iniziare noi.
Con gentilezza. Con umiltà.
Chiedendo all’altro di fermarsi, perché abbiamo bisogno della sua presenza — anche se imperfetta.
Perché nessuno ci capirà davvero del tutto.
Ma molti potrebbero esserci, se sapessero come.
E sta anche a noi renderlo possibile.
Quando gli altri non capiscono – Laboratorio esperienziale