accompagno le persone attraverso il lutto perinatale e il lutto

Scar Pregnancy: il Caso del letto 14

La mia storia, quella che vi terrà qui per un po’ data la lunghezza, per molti potrebbe essere degna di un film; horror, drammatico, commedia, dipende dai gusti. Fatto è che ai più risulta incredibile e se non l’avessi vissuta in prima persona lo sarebbe anche per me.

Mi presento. Mi chiamo Miranda, sono la mamma di Aurora dal 2012.

Lei è stata un fulmine all’improvviso, arrivando a mezzogiorno del 21 Giugno, il momento in cui il Sole è più alto nel cielo durante l’anno; un ciclone di vita, aria e luce che solo chi è madre può capire come cambia il Mondo dopo di loro. La gravidanza è andata bene quasi fino alla fine, poi una serie di complicazioni sono sfociate in un taglio cesareo d’urgenza e in un post operatorio a metà tra il dolore e l’incredulità.

Ero madre, la donna più felice e completa al mondo e tanto mi bastava.

Date le difficoltà mi dicevo che lei bastava, completava me e la famiglia; tre era il numero perfetto! Poi il tempo è passato, lei è talmente buona e perfetta che ho quasi dimenticato i momenti bui e i dolori, così decisi che forse era arrivato il momento di tentare di nuovo. In fondo non può andare sempre male! Sbagliato. Il giorno del suo quarto compleanno scoprii che in appena un mese di ricerche ci ero riuscita. Avevo trionfato in pochissimo tempo nonostante mi avessero detto che i problemi legati alla prima gravidanza avrebbero reso le cose più difficili.

Gioia, incredulità, paura, rivincita, tante emozioni tutte insieme accolsero Puntino.

Feci le beta e chiamai il ginecologo che aveva fatto nascere Aurora. Lui mi disse erano un po’ basse, ma di non preoccuparmi, in fondo ero di appena cinque settimane e poteva succedere. Aspettammo una settimana ancora, le ripetei e andai a fare la prima visita, il 7 Luglio. Dissi subito che intendevo provare il VBAC (il parto naturale dopo il cesareo), perché io quella potenza la volevo sentire davvero, ci tenevo! Il medico, però, dopo l’ecografia ci diede una brutta notizia.

L’impianto di Puntino è avvenuto molto basso e rischiavo di perderlo.

Mi disse di evitare sforzi e che al primo segnale negativo dovevo correre al pronto soccorso ostetrico. I giorni passarono, la famiglia e gli amici erano contenti e io mi documentavo su un impianto basso scoprendo che poteva comportare problemi, ma che molte donne avevano comunque portato a termine, o quasi, la gravidanza. Il 19 Luglio, però, iniziarono dolori bassi, come se qualcosa si strappasse. Non volevo andare in ospedale, avevo paura per Puntino, che mi dicessero che non c’era più, che qualcosa era andata male e di morirne. Mi convinsi comunque e alla visita mi dissero che c’era un problema.

L’impianto basso era pericoloso, quasi cervicale, in fase praticamente espulsiva così mi ricoverarono.

Il giorno dopo una nuova ecografia e mi chiamarono per un consulto col primario di ostetricia. Le sue parole?

Signora lei deve abortire, è una Scar Pregnancy

COSA?? Scoppiai a piangere, non ci credevo.

Cosa è una Scar Pregnancy?

Mi spiegò che un impianto così basso di norma costituisce quasi sicuramente un aborto spontaneo, ma nel mio caso non era andata così, era forte quel Puntino! Il problema era che si era attaccato sulla cicatrice del cesareo e gravidanze del genere non hanno mai esisti positivi. I rischi per la vita di mamma e figlio sono elevati, praticamente certi se non si interviene subito.

Mi trasferirono al San Giovanni di Roma, dove praticano gli aborti volontari; si perché oltre il danno, anche la beffa.

La mia gravidanza, pur essendo sconsigliata dall’ordine dei medici, doveva essere interrotta da un non obiettore, perché finché c’è battito c’è vita.

E grazie!

Quando arrivai lì ero talmente distrutta che mi sarei attaccata a qualsiasi speranza. E per un po’ ci ho creduto. La dottoressa che mi visitò mi chiese se quella gravidanza la volevo e io le risposi che avrei fatto di tutto per portarla avanti, per proteggere Puntino, anche se sapevo che nella migliore delle ipotesi avrei perso l’utero. Lo avrei fatto volentieri se significava comunque avere lui tra le mie braccia, non importava cosa sarebbe successo.

Mi dimise con un appuntamento presso una struttura dove fanno ecografie più specifiche e ci andai dopo una settimana. L’esito non era cambiato, lui cresceva lì; il battito più forte di una carica di cavalli impazziti. Toccava a me decidere, ma la situazione era brutta. La placenta stava vascolarizzando la parte esterna dell’utero e continuando così le percentuali di vita per me erano quasi nulle. In preda al delirio ero fermamente convinta di continuare per la mia strada. Era raro in casi come il mio arrivare a sette, otto, dieci settimane e mi dicevo che se noi ci eravamo arrivati chissà che le cose non sarebbero andate per il verso giusto!

Poi mio marito mi fece la domanda che nessuno era riuscito a farmi:

E Aurora?

Già Aurora. La mia bambina che cresceva ogni giorno di più, che mi diceva di essere felicissima di quel fratellino, che mi chiedeva se comunque io sarei stata la sua mamma. Si che lo ero, lo ero sempre stata dal primo momento e avrei continuato ad esserlo per il resto dei miei giorni. Non potevo lasciarla orfana, non dovevo permettere che in futuro le avrebbero dovuto spiegare che la mamma era morta per mettere al mondo suo fratello; anzi, per tentare di metterlo al mondo.

Sconfitta accettai l’interruzione e fui ricoverata il 30 Luglio.

Un raschiamento classico era impensabile per via della parte delicata dell’utero dove si trovava Puntino. Così provarono la pillola abortiva che risultò inefficace date le settimane avanzate. Mi procurò dolori fortissimi ma ogni volta che andavo a fare l’ecografia lui era lì, ancorato alla vita come non mai. Al contrario di me che morivo ogni giorno di più. Il 5 Agosto, in preda ai dolori mi fecero una risonanza per capire come fosse la situazione.

Ed era pessima. La placenta aveva vascolarizzato l’addome, la vescica e la parete uterina era sottile come la tela di un ragno. Avevo i giorni contati.

Ricordo che il pomeriggio dissi a mio marito che se le cose fossero andate male, si sarebbe dovuto occupare di Aurora come io avevo fatto fino ad allora. Poca cioccolata mi raccomando, gli dissi! E non piansi. Ero rassegnata all’idea che comunque, forse, sarei morta nel tentativo di essere felice e tanto bastava.

Poi, però, arrivò il medico che mi ha salvato la vita. Se sono qui oggi lo devo a lui e alla sua idea di utilizzare la chemioterapia per interrompere la gravidanza. Si perchè la chemio interrompe la formazione di nuove cellule, in tutto il corpo, di conseguenza anche la gravidanza si sarebbe interrotta. Quella sera stessa mi fecero la prima infusione.

Il 7 Agosto Puntino era volato in cielo.

E da sola, quella notte, sul balcone della mia camera di ospedale lo pregai di perdonare la sua mamma forse debole, forse inadatta a generare un figlio. Dopo la prima infusione ne seguì una seconda a distanza di una settimana; ogni giorno facevo le beta e ogni giorno erano sempre più basse, segno che la gravidanza si stava spegnendo. Mi dissero comunque che era preferibile una espulsione naturale, così da non dover rischiare con un raschiamento.

Tornai a casa il 17 Agosto e per due giorni dormii come mai avevo fatto. Lentamente ripresi la mia vita, evitando sforzi, prendendo integratori per via della chemio e vivendo Aurora, respirandola a pieni polmoni.

scar pregnancy

Riprese la scuola a Settembre e regolarmente facevo analisi ed ecografie, sperando sempre che mi dicessero che era tutto finito. Ero debole e stanca, ma anche viva e felice di poter vivere mia figlia, di festeggiare i miei 27 anni con lei, di vedere i suoi progressi e i suoi capelli allungarsi. A fine Ottobre mi fecero ripetere la risonanza.

Finalmente la placenta aveva abbandonato la vescica e l’addome, non c’erano più capillari che rischiavano di creare emorragie e decisero che era il momento di mettere la parola fine a quella storia.

Il 9 Dicembre mi fecero il raschiamento, quattro mesi dopo la fine di Puntino, finì anche la storia più brutta.

Finì la storia del “caso del letto 14”.

Si perché durante i venti giorni di ricovero ero diventata famosa. Io ero il caso, quello raro, quella che tra tutti i casi di Scar Pregnancy conosciuti (nel 2011 erano appena 112 tra Europa e Stati Uniti) era arrivata a 12 settimane senza perdite di sangue, senza perdere naturalmente il bambino. Io ero quella che è stata a digiuno per una settimana senza mai lamentarsi, che la chemio le aveva distrutto le vene, quella che medici di tutto l’ospedale si fermavano per chiedere come andava ogni volta che scendevo in giardino.

Ero quella che ha trattato il figlio come un cancro.

Io sono il caso. Ma sono anche Miranda, la mamma di Aurora, e ho scelto di vivere e sacrificarmi per lei ogni santo giorno che la Vita avrà l’onore di concedermi.

Miranda Filippetti

Scar Pregnancy: il caso del letto 14 – pubblicato per la prima volta il 5 Aprile 2017

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