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Il linguaggio della violenza ostetrica

Il linguaggio della violenza ostetrica, di Carmen Innocenti

Carmen Innocenti, psicologa perinatale, antropologa, insegnante di Hypnobirthing, è intervenuta presso l’Università di Salerno, in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza di genere, trattando una delle forme in cui si manifesta tale violenza: la violenza ostetrica.

Carmen dice:

Recentemente una campagna organizzata dalla sezione italiana di Human right in Childbirth, con l’hashtag #bastatacere, ha evidenziato l’esistenza di una forma di violenza fatta, come la violenza di genere, di perdita di autonomia, di potere, persino dell’identità di una donna: è la violenza ostetrica.
Le donne in molti luoghi del parto vengono violate nel corpo e nella mente, infilzate di aghi e attaccate ad una sacca di liquidi invece che idratate, tenute digiune invece che nutrite, sgridate se urlano invece che accolte e sostenute, spesso lasciate sole, costrette a partorire in posizione litotomica, innaturale, illogica, comoda solo per il personale medico/ostetrico, allontanate dai loro bambini appena dopo la nascita, a volte anche per ore e giorni.
E ancora tagliate e suturate senza anestesia, il loro corpo è gestito senza il loro permesso, con visite vaginali inutili e senza valore predittivo rispetto all’andamento del travaglio. La loro competenza è trascurata, se non annullata, da protocolli ospedalieri che vogliono gli operatori più attenti ai monitor e alla documentazione dei processi di cura che ai bisogni fisiologici della donna in travaglio.

La proposta di legge dell’On. Zaccagnini chiede che la violenza ostetrica sia riconosciuta e punita come un vero e proprio reato specifico.

Ascoltando le parole di Carmen una domanda continua a risuonare nella mente: come si fa? Come si può cambiare una cultura del parto tanto radicata come la nostra?

Pian piano e su molti livelli. Intanto bisogna dire che sta già cambiando, la campagna #bastatacere e la proposta di legge, in questo senso, rappresentano un passo avanti nel riconoscimento che il problema esiste.
Non credo che si cambi la cultura del parto con l’istituzione di un nuovo reato, ma certo riconoscere l’esistenza dei diritti della partoriente e del bambino significa anche identificare adeguate sanzioni per chi, individuo o struttura che sia, viola tali diritti.
In ogni caso bisogna intervenire prima che la violenza avvenga, non dopo!

E cosa si può fare prima di arrivare all’episodio di cronaca o alla causa in tribunale?

Io dico sempre alle mamme di seguire corsi preparto INDIPENDENTI, dove gli operatori non hanno l’ospedale o la struttura della nascita più vicina a dettare cosa dire e cosa non dire alle mamme. Sicuramente le eccezioni ci sono, ma spesso in quei corsi non si fa un percorso insieme, si prepara la mamma ad essere una “brava paziente”.
Come dico nel video discorso all’Università di Salerno, le donne oggi sanno molto di esami, visite, ecografie, monitoraggi e induzioni, ma non vengono condotte a scoprire la meraviglia del loro utero, a scoprire quanto possono essere potenti se mettono a tacere il cervello razionale. Non conoscono le proprietà dell’ossitocina (quella naturale, donne, è diversa da quella artificiale!), delle endorfine (più potenti della morfina!), che smettono di funzionare in situazioni, reali o immaginarie, di pericolo, quando è l’adrenalina a fluire in grandi quantità.
Se tu metti una donna che partorisce nella condizione di sentirsi spaventata, confusa, isolata o triste, tu stai attivamente mettendo a rischio il suo travaglio e dunque anche il suo bambino. La sua condizione emotivo-affettiva non è irrilevante nell’andamento del travaglio, anzi, è una delle cose più importanti.

In uno dei tuoi articoli sul tuo sito dedicato all’hypnobirthing, dici che “bisogna partire con la domanda giusta”, mi spieghi meglio cosa intendi?

Le mamme oggi non sanno che proteggere il loro parto e il loro bambino significa evitare categoricamente tutte le interferenze esterne, cercare silenzio, buio, intimità, calore (fisico ed emotivo). Se parti con il chiederti quale sia il medico giusto o la struttura più adeguata a salvaguardare la salute tua e di tuo figlio, metti il carro davanti ai buoi. La domanda più importante da porsi, appena si scopre di essere incinta è: come proteggo il lavoro naturale che il mio corpo sa fare, in gravidanza e al parto?
Erroneamente nel corso degli anni abbiamo cominciato a pensare che è egoistico desiderare un parto rispettato, magari a casa o in casa maternità, e che, invece di pensare al proprio parto, si debba pensare al proprio bambino. Come se non fosse la stessa cosa.
Abbiamo cominciato a pensare che l’esperienza di parto deve essere sacrificata, per avere la certezza di sopravvivere e di poter stringere fra le braccia un bambino vivo e sano alla fine del percorso.
Oggi sappiamo, ma molti ospedali e professionisti della nascita non si sono ancora adeguati, che un parto MENO medicalizzato è anche più sicuro, e che molti interventi, anche quelli apparentemente innocui, sono dannosi, in quanto immobilizzano, rendono dipendente, meno autonoma la mamma, la quale ha poi difficoltà ad appropriarsi del processo della nascita e dunque ad abbandonarsi ad esso fiduciosa.

Insomma, un buon corso di accompagnamento alla nascita è il punto di partenza per riappropriarsi del parto?

Diciamo che si potrebbe partire anche prima, da un’educazione all’amore di sé stesse e del proprio corpo, ma per mancanza di tempo, risponderò con un sì. E smettiamola di andare ai corsi per sapere cosa mettere in valigia per l’ospedale!
Si banalizza l’accompagnamento alla nascita, così. E così si arriva a dire: “Non ho bisogno del corso, basta che abbia una buona struttura e un buon medico”.
E io dico: quando hai il buon medico e la buona struttura, chi ti assicura che avrai una bella esperienza di parto? Non certo chi si è formato a trovare ed intervenire sulla patologia, oppure chi ha pile e pile di cartelle da compilare.
Dunque chi ci assicura questo?
Niente è sicuro nella vita. Ma alla fine è dei genitori la responsabilità di preparare un buon parto e di decidere chi avrà l’onore di assisterli in quel percorso.
Al parto non si deve sopravvivere, il parto è un evento simile al matrimonio, in un certo senso. E’ uno dei giorni più importanti della nostra vita, bisogna metterci tempo, impegno e farlo nostro, fare in modo che ci rappresenti. E’ la festa di benvenuto a nostro figlio.
Sento molte donne dire: “Beh, come le altre sono sopravvissute, in qualche modo farò anch’io…” C’è molto fatalismo. Oppure si vorrebbe partorire diversamente, però… “Non ho soldi per l’ostetrica privata, o per la casa maternità, lo stato dovrebbe aiutarmi”.
Certo, ma come mai hai spesso 10000 euro nel matrimonio, mentre non trovi 2000 euro per l’ostetrica? Tu e tuo figlio siete meno importanti? Io suggerirei di fare le liste parto. Perchè no? Non si può aspettare lo stato per avere un buon parto.

La realtà è quella che descrivi. Ce lo raccontano le nostre madri, le nostre nonne anche peggio. Moltissimi hanno avuto parti solitari, medicalizzati, in cui sono stati sottoposti alle regole del reparto. E’ normale che sia così. Nessuno di loro ha una ‘cultura’ differente e ha maturato le proprie difese rispetto a quegli strappi che ha vissuto in prima persona. Spaventa molto sapere che siamo responsabili del nostro parto. Ma perché io? Allora il medico a cosa serve?

Il medico è un membro del team di parto, non il leader. All’inizio questa consapevolezza può fare paura, siamo abituati ad affidarci agli esperti, perchè il parto dovrebbe essere diverso?
Eppure poi per le mamme è liberatorio… “io sono capace, il mio bambino è capace, ho solo bisogno di seguirmi e di scegliere professionisti che mi facciano, sì, sentire sicura, ma soprattutto che mi lascino stare alla guida della mia gravidanza e del mio parto.”

Tempo fa mi sono confrontata con alcune mamme, ho raccontato loro di come mi sentissi senza un pezzo dopo il cesareo, di come la sensazione di non appartenenza verso i miei figli fosse forte. Di come quel legame non si fosse creato subito.
Le mamme mi hanno confidato che anche per loro è stato così. Eppure il loro fu un parto naturale. Quindi non dipende dal cesareo, ma è insito nella maternità nascere madre con la sensazione di avere da accudire un perfetto estraneo?

Se vai su Innecesareo oppure su Gravidanza e parto attivo, entrambi gruppi di FB, trovi moltissime mamme con simili esperienze.
Tra un cesareo e un parto molto medicalizzato, dal punto di vista della comunicazione biochimica tra madre e bambino, non c’è molta differenza. Senza un flusso importante del cocktail di ormoni che guida il travaglio normale, è facile sperimentare sensazioni di vuoto, di tristezza, di estraneità rispetto ai figli, tanto che alcune mamme dicono: “Non mi sembra nemmeno di averlo fatto io”.
Non è innato nella maternità il senso di estraneità del figlio, è che purtroppo in ospedale spesso hai un parto vaginale, NON NATURALE! La naturalità è un’altra cosa.
Puoi “riappropriarti” del tuo parto, sia che tu faccia il vaginale che tu debba subire un’induzione per motivi medici o che tu faccia un cesareo. C’è modo e modo di fare questi interventi medici. C’è modo e modo di fare accompagnamento alla nascita. Bisogna saperlo, e le informazioni ci sono, basta cercarle, anche su internet.
Per esempio, rispettare la comunicazione ormonale è fondamentale, e se c’è adrenalina in circolo, l’ossitocina non si esprime come dovrebbe. Ed è per questo che faccio Hypnobirthing, perché aiuta a proteggere quella comunicazione fisica, mentale ed emotiva, indipendentemente dal tipo di parto. Hypnobirthing non è per hippie, non immaginatevi un parto con l’incenso, le candele e l’ostetrica che fa la maglia in un angolo mentre la donna canta Ohm ad ogni contrazione. Hypnobirthing è per proteggere la mente da interferenze e per farne un’alleata, imparando a conoscere come funziona al parto.
Ma bisogna lavorarci, è paradossale ma è così. Bisogna abituarsi a sentire il proprio istinto innato, a spegnere i rumori di fondo e sentire il nostro corpo che funziona, il nostro bambino che è competente, anche mentre nasce, e a fidarci di noi stesse.

Ora, cara Carmen, vorrei porti una domanda che esula dal discorso specifico della violenza ostetrica, ma ha a che fare con una pratica che si sta diffondendo in qualità di prevenzione rispetto alla morte fetale. Come valuti il sistema del conteggio dei movimenti fetali?

Eh, bella domanda… Mi domando: e se sono, per esempio, nove invece che dieci al giorno, come raccomandato? Il contare i movimenti fetali è un modo, senz’altro efficace, per diventare più attenti al corpo e al bambino, ma ci sono altri modi per farlo.
Dare una soluzione vuol dire fare quel lavoro per la mamma, offrirle la tecnica salvifica invece di mostrarle un processo, un percorso verso se stessa
Tuttavia, se farlo ti dà tranquillità, bene. Invece, se farlo ti fa innervosisce ancora di più, non va affatto bene, diventa fidarsi di qualcosa di esterno, e significa anche meno ossitocina e più cortisolo, dunque meglio evitare di contare…

La parola chiave che torna e ritorna è la fiducia.

Come l’Hypnobirthing può aiutare nella costruzione della fiducia che una cultura di medicalizzazione ci ha progressivamente sottratto?

Nutrire il corpo in gravidanza è importante, nutrire la mente ancora di più, poiché essa è l’organo principale del parto, prima ancora dell’utero. E per mente intendo pensieri, parole, emozioni e memorie. Queste hanno una grande influenza sul corpo, così come se il tuo amato ti ama e te lo dimostra spesso, tu ti senti felice, il battito del cuore aumenta, ti senti piena di energia e ti ammali anche meno. Allo stesso tempo ripetuti messaggi verbali o fisici di rifiuto si traducono in una cronica risposta di stress, tristezza e persino in una depressione della risposta immunitaria alle malattie. Una cosa simile succede in gravidanza e al parto: la mente guida, il corpo segue. Con la differenza che non puoi convincere il tuo amato a continuare ad amarti, ma puoi mandare messaggi d’amore, fiducia, accettazione e rispetto a te stessa.
Io lavoro perché la mente e il corpo lavorino all’unisono come sono stati programmati per fare dalla Natura, facendo emergere le risorse interiori della coppia.
Hypnobirthing aiuta a cambiare il linguaggio, le parole e le immagini mentali che creano le nostre aspettative verso la gravidanza e il parto. Sto seguendo proprio ora una mamma, si tratta di una mamma al suo secondo Hypnobirthing, e mi dice sempre di quanto si senta positiva e tranquilla, fiduciosa in se stessa grazie all’uso delle tecniche di hypnobirthing.

Chi volesse contattarti, come può farlo?

Al mio blog, hypnobirthing4u.org/ita, oppure alla mia email carmen.innocenti@gmail.com.
Grazie dell’intervista Erika, sono onorata che tu abbia scelto di ospitarmi sul tuo blog. A presto!

Grazie a te, cara Carmen! È un privilegio per me avere potuto ricevere queste preziose informazioni dalla tua viva voce: un’Operatrice della Nascita che stimo profondamente!

Per chi ancora non lo avesse fatto, consiglio vivamente di seguire il video discorso di Carmen: “Violenza ostetrica – #bastatacere” (clicca qui).

Il linguaggio della violenza ostetrica, di Carmen Innocenti.

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